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Il libro
LA VITA DEL NONNO
di Ciccio Talarico

presentato durante Cultura e musica sotto le stelle 2022

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Prefazione di Vito Sorrenti

Nessuna conoscenza,

se pur eccellente e salutare,

mi darà la gioia se l’apprenderò per me solo.

Se mi si concedesse la sapienza

con questa limitazione,

di tenerla chiusa in me,

rinunciando a diffonderla,

la rifiuterei.

Quanto riportato in epigrafe è un pensiero del grande filosofo latino Lucio Anneo Seneca, che mi compiaccio di condividere totalmente perché anch’io, come Lui, ritengo che avere conoscenza e/o essere sapienti non serve a niente se tale patrimonio non viene messo a disposizione degli altri per far sì che gli altri acquisiscano virtude e canoscenza, come ci insegna il sommo poeta Dante. Ed è alla luce di questa mia solare convinzione che mi accingo a scrivere quel che segue sul fior fiore dei ricordi indelebili che Francesco Talarico ha voluto fissare sulla carta non solo per far conoscere gli aspetti più importanti del suo vissuto ma anche per esplicitare il fine che l’ha indotto a scrivere questa sua sintetica ma

densa autobiografia, ossia lasciare ai nipoti i basamenti umani, morali e spirituali sui quali ergere le colonne del loro futuro, del loro avvenire, della loro vita. Ma, a parere di chi scrive, vi è anche un altro scopo, taciuto, che ha spinto il nostro amico a scrivere le sue memorie. La motivazione, non esplicitata, è rintracciabile nel desiderio che aleggia nell'animo di ogni essere umano, ossia il desiderio di lasciare ai posteri una testimonianza della propria esistenza.

Un desidero, questo, profondamente radicato. Ed è grazie a questo desiderio che non solo gli esseri umani ma tutti gli esseri viventi, siano essi appartenenti alla flora o alla fauna, fanno di tutto per riprodursi o per procreare perché la procreazione costituisce per l'uomo l'unico modo certo di lasciare traccia di sé.

E noi amiamo lasciare qualcosa di noi che ci ricordi oltre la vita terrena. Ed è per questo che il mondo è disseminato di opere d'arte firmate, di edifici monumentali che riportano i nomi degli artefici, di monumenti e simulacri di personaggi illustri che si sono distinti nelle arti e nei vari campi del fare e del sapere, di ritratti e autoritratti, di biografie e autobiografie, di mummie e di ibernati.

Si, anche le mummie e gli ibernati non sono altro che la testimonianza del desiderio di conservare sé stessi per il futuro.

Ma se è vero che tutti gli esseri umani aspirano all'eternità, è altrettanto vero che non tutti sono meritevoli di essere ricordati e non tutti scrivono la loro storia terrena, ma solo quelli che ritengono di aver fatto cose interessanti, esemplari, straordinarie o di aver percorso per primi certi sentieri e vogliono farli conoscere ai posteri per la loro utilità, assolutezza, bellezza ecc.

E allora vediamo di capire le cose interessanti realizzate dal nostro amico e gli obiettivi raggiunti nel corso delle sue molteplici attività.

Il luogo e la data di nascita di per sé non costituiscono generalmente un fatto importante, ma per mastro Ciccio l'essere nato a Pietrapaola l'11 agosto del 1944, ossia 66 giorni dopo lo sbarco in Normandia, quindi con la Seconda Guerra Mondiale ancora in corso, e in un luogo costellato da innumerevoli difficoltà, ristrettezze, privazione e altro, lo sono, soprattutto se vengono messi in relazione ai fatti che il nostro enumera come importanti e prestigiosi.

Uno di questi è sicuramente l'emigrazione in Germania da giovanissimo, unitamente alla sua capacità di dimostrare, in relazione al suo mestiere di fabbro, la tecnica e il valore con cui lo esercitava fin dalla sua prima età adolescenziale. Infatti nel suo racconto il nostro artigiano ci fa capire che già a 16 anni era un degno emulo di Efesto (nella mitologia greca, il dio del fuoco, delle fucine, dell'ingegneria, della scultura e della metallurgia) che sapeva usare gli attrezzi del mestiere come il martello, l'incudine e la tenaglia con abilità e maestria.

Degna di nota è anche l'idea di realizzare al rientro in patria, il gemellaggio fra Pietrapaola e Warstein in segno di gratitudine per quanto avevano fatto gli amici tedeschi nei suoi confronti.

Il secondo fatto, non molto esplicitato ma noto ai più, riguarda la sua capacità di fare impresa in una regione, la Calabria, dove chi si cimenta in tale percorso difficilmente viene favorito, anzi, il più delle volte, viene pure ostacolato. Prova ne è che quando il nostro ha iniziato a gettare le basi per ingrandire la forgia fu la figura paterna, per prima, a creargli ostacoli. Ma ciononostante, facendo affidamento sulla sua visione e sul suo spirito di iniziativa, sulla tenacia e sulla costante presenza, è riuscito a portare avanti le sue idee e i suoi progetti fino a divenire punto di riferimento per i suoi fratelli e per i suoi figli, e ad implementare e gestire con gli stessi, nella località marina di Pietrapaola, una azienda che ha dato lavoro e benessere ai congiunti, agli amici e anche agli estranei.

Il terzo fatto degno di essere menzionato riguarda l'aspetto artistico del suo mestiere. Mastro Ciccio nel corso della sua attività artigianale ha forgiato numerosi manufatti che per concezione, lavorazione e riuscita possono e debbono essere annoverabili fra le opere d'arte o quantomeno fra i capolavori artigianali. La prova di ciò risiede nel fatto che gli stessi sono istallati o impiantati in luoghi importanti e frequentati come chiese, palazzi, piazze, cimiteri ecc.

Il quarto fatto riguarda l'attività politica svolta e il suo costante impegno a favore della comunità.

Il nostro autore nel corso della sua vita è stato più volte eletto consigliere comunale e rivestito l’incarico di assessore e in una occasione (1993) è stato candidato sindaco.

Nel corso dei suoi mandati ha fornito contributi importanti non solo per migliorare gli aspetti socioeconomici e ambientali di Pietrapaola Centro ma anche per dare impulso alla fondazione e allo sviluppo della località marina, dove, come abbiamo appena ricordato, è stato uno dei primi a costruire una struttura abitativa insieme al capannone industriale utilizzato per eseguire le lavorazioni e i manufatti in ferro battuto.

Maggior fortuna avrebbe meritato anche la sua proposta di fare di Pietrapaola un paese albergo, ma, come ci informa lui stesso, non ha avuto l’attenzione e l’aiuto necessario della grande politica.

Alla luce di quanto detto e di altri fatti minori, comunque meritevoli di essere ricordati, e in considerazione del fatto che la vita di ogni essere umano contiene i tratti necessari e sufficienti per scrivere un libro che sarà, a seconda dei casi, sciatto, insulso, di cattivo gusto, insignificante o, al contrario, grandioso, stupendo, affascinante, nella misura in cui chi lo scrive possegga o meno, i requisiti culturali, le capacità tecniche e il genio creativo per mettere in rilievo con maestria, stile, capacità narrativa, armonia della forma, ricchezza semantica ecc. ecc., le vicende narrate, ossia le avventure, le casualità, la fortuna e sfortuna, la generosità e la viltà, le altezze e le miserie che hanno contraddistinto il suo percorso esistenziale; e tenuto conto, infine, degli aspetti caratteriali e psicologici, dei pregi e dei difetti che non sempre vengono evidenziati dall’autore, ma che traspaiono dalla lettura delle sue sintetiche memorie ossia temperamento, costanza, coerenza agli ideali e ai valori, capacità dialettiche e persuasive, autocompiacimento, presenza di spirito, ecc. ecc. che, a seconda dei punti di vista, possono essere annoverabili o meno come pregevoli qualità politiche e umane, possiamo dire che il nostro artigiano risulta degno di essere collocato a pieno titolo fra le persone degne di stima e di memoria futura.

Concludo queste mie modeste considerazioni riportando di seguito una mia lirica – tratta dal libro “La poesia è una ladra”, edito dal Centro Studi Tindari Patti - intitolata "Il poeta del martello", a lui dedicata, nella quale traccio un ritratto non tanto fisico quanto morale e spirituale.

Il   poeta del martello

 

(A Francesco Talarico)

 

Sulla dolce collina

di rimpetto al mare

ove agosto matura

i dolci grappoli di Bacco

batte il cuore dell’artiere

emulo di Efesto.

E quando il sol

schiude le porte

alla fresca mattina

il valente artigiano

già s’accosta alla fucina

e con le mani sue, di quercia

ed il mantice ridesta

l’artificio delle stelle.

E la fiamma trema e brilla

nella culla di metallo

e tutt’a un tratto si risveglia

e sfavilla e s’alza audace

sopra il soffio che la nutre.

E or con gesto vigoroso

il virtuoso del martello

attanaglia il suo metallo

e lo immerge risoluto

dentro il cuore della brace.

E dopo averlo arroventato

sull’incudine lo poggia

e lo forgia e lo martella

e lo modella come argilla

sempre a colpi di martello.

E dal metallo lavorato

sbalzan fuori come stelle

una pioggia di scintille

ed altre mille linee belle

di raffinati oggetti d’arte.

E ora batte fiero in petto

il forte cuore dell’artista

mentre osserva soddisfatto

i suoi bei capolavori

come tenere creature.

E quando infin viene la sera

egli asciuga il suo sudore

sorseggiando un bel bicchiere

di quel vino generoso

che dissipa ogni dolore.

E del denaro non si cura:

ché né l’oro né il denaro

dell’artista puro e vero

appagar possono il cuore

come le sue artistiche creature.

 

Vito Sorrenti

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